Un’idea di Darnton

Un’immagine recente di Robert Darnton.

Riporto qui il testo (più esteso e opportunamente rielaborato per questo ‘canale’, profondamente diverso da quello orale originario, e con un’aggiunta finale sorprendente) della mia presentazione tenuta il 22 maggio 2019 alla Casa delle Traduzioni di Roma, pensata come breve introduzione a Maurizio Ginocchi. Questi era il “vero” ospite della serata, in cui ha parlato a ruota libera sulla sua traduzione (già in seconda bozza) dell’ultima fatica pubblicata dallo storico statunitense Robert Darnton. Il titolo inglese di tale lavoro è (con la consueta finezza stilistica dell’autore) A Literary Tour de France. Publishing and the Book Trade in France and Francophone Europe, 1769-1789 (Oxford UP, 2018), quello italiano potrebbe essere Un tour de France letterario e uscirà per i tipi dell’editore romano Carocci, probabilmente a luglio 2019.

Per completezza, riporto qui anzitutto le poche righe che avevo trasmesso alla Casa delle Traduzioni per l’inoltro via e-mail agli iscritti, ovviamente d’intesa col traduttore.

Maurizio Ginocchi (Roma, 1967), dal 2001 giornalista presso l’agenzia di stampa Askanews. Dal 2015 traduttore a tempo faticosamente ritagliato per la casa editrice Carocci, della quale ha tradotto finora sette libri, tutti di saggistica storica.

Alessandro de Lachenal (Roma, 1958) ha sempre lavorato nel settore editoriale, votandosi interamente alla saggistica di scienze umane e alle traduzioni da inglese, tedesco e francese, in una continuità ideale, ma anche storico-culturale, con filologia e linguistica.

Il caso Darnton è interessante anzitutto per capire come un autore anglofono ha affrontato un argomento di cultura francese: il suo libro in corso di traduzione è il distillato di tanti altri studi più tutto il materiale d’archivio e perciò consta anche di una sezione documentale on-line, di cui la versione cartacea rappresenta un sunto “leggibile”. Ne deriva anche una riflessione sul modo in cui le scelte dell’autore influenzino quelle del traduttore, in particolare per la resa delle fonti francesi originali del XVIII secolo (vanno modernizzate o no?). Particolare attenzione, infine, sarà riservata a esporre il metodo di lavoro fra il traduttore e l’editor.

“Un’idea di Darnton”, il titolo che mi è piaciuto dare a questo incontro informale, è volutamente ambiguo (al pari di quello dell’ultimo volume di Darnton la cui traduzione stiamo per presentare): a un primo livello, molto semplice ed lineare, esprime l’idea che qui purtroppo non sarà presente l’autore, ma ne verrà esposto appena un simulacro in base alle nostre propensioni e predilezioni dettate dall’occasione specifica.
Un secondo livello chiama in causa la grammatica: com’è noto, la preposizione ‘di’ può avere valore soggettivo oppure oggettivo; qui viene riproposto e valorizzato proprio tale carattere ancipite, nel senso che si può intendere sia come “in questo incontro vi diamo una nostra idea di alcune delle tesi avanzate da Robert Darnton” (complemento di specificazione soggettivo), sia per mettere in evidenza una sua proposta specifica, a mio avviso centrale nel suo magistero (complemento di specificazione oggettivo).
C’è poi un terzo livello, più criptico, evocato da un’allitterazione eppure legato all’intertestualità: difatti il titolo vuole richiamarne un altro, che ebbe una certa rinomanza anche se riferito a tutt’altro ambito, e cioè quello del volume Un’idea di Dante, che Gianfranco Contini pubblicò nel 1976 per Einaudi raccogliendovi il meglio dei suoi “saggi danteschi”.1

Tutti pronti? Via!
Il mio compito odierno in questo luogo è di offrire ai convenuti una presentazione sintetica di Robert Choate Darnton. Forse non tutti lo conoscono, o non abbastanza, a causa di interessi vòlti in altre direzioni, o per motivi meramente biografici, mentre è a mio avviso un autore di cui vale la pena sapere qualcosa in più, se vi interessa la Storia, in particolare quella della Francia settecentesca e anche dell’editoria. Che poi, per avventura, io abbia tradotto nel 1994 un suo saggetto uscito su rivista nel 1985 (commettendo almeno due errori, uno redazionale e l’altro traduttivo), conta fino a un certo punto. Dato il tempo ristretto, proverò a lumeggiare soltanto alcuni aspetti del suo ‘metodo’ (anche se probabilmente egli non sarebbe d’accordo su tale termine), due in particolar modo.

Darnton al Festivaletteratura di Mantova nel settembre 2018.

Stabiliamo dunque anzitutto un quadro temporale: il 10 maggio del 2019 Darnton ha compiuto ottanta anni, che comunque si porta benissimo: qui lo si vede al Festivaletteratura di Mantova nel settembre 2018.

Il suo cv è lungo diciotto pagine, per cui ve lo scaricate e leggete da soli dal suo sito… Qui mi limito a riportare i titoli dei suoi libri tradotti in italiano, in ordine cronologico secondo la pubblicazione in lingua originale, preceduta dall’anno – alla fine di ciascun elemento ho aggiunto anche il nome del traduttore, i link rinviano a recensioni o segnalazioni che mi sono parse significative, mentre quelli sui primi due testi originali in inglese rinviano a un sito dove scaricarne legalmente una versione elettronica completa):

1968 Mesmerism and the End of the Enlightenment in France = Il mesmerismo e il tramonto dei Lumi (Medusa, 2005 – Prefazione di Giulio Giorello, tr. Roberto Carretta e Renato Viola);
1979 The Business of Enlightenment. A publishing history of the Encyclopédie, 1775-1800 = Il grande affare dei Lumi. Storia editoriale dell’Encyclopedie, 1775-1800 (Sylvestre Bonnard, 1998, poi Adelphi, 2012 – tr. Antonio Serra);
1982 The Literary Underground of the Old Regime = L’intellettuale clandestino. Il mondo dei libri nella Francia dell’Illuminismo (Garzanti, 1990 – tr. Gianni Ferrara degli Uberti);
1984 The Great Cat Massacre and Other Episodes in French Cultural History = Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese (Adelphi, 1988 – tr. e cura Renato Pasta);
1990 The Kiss of Lamourette = Il bacio di Lamourette (Adelphi, 1994 – tr. Luca Aldomoreschi);
1991 Berlin Journal, 1989-1990 = Diario berlinese: 1989-1990 (Einaudi, 1992 – tr. Sergio Minucci);
1995 The Forbidden Best-Sellers of Pre-Revolutionary France = Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all’origine della rivoluzione francese (Mondadori, 1997 – tr. Vittorio Beonio Brocchieri);
1997 George Washington’s False Teeth. An unconventional guide to the eighteenth century = La dentiera di Washington. Considerazioni critiche a proposito di illuminismo e modernità (Donzelli, 2003 – Introduzione di Eugenio Lecaldano, tr. Andrea Branchi);
2003 L’età dell’informazione. Una guida non convenzionale al Settecento (Adelphi, 2007 – tr. Franco Salvatorelli) [questo testo contiene anche il precedente, in un’altra versione];
2009 The Case For Books. Past present and future = Il futuro del libro (Adelphi, 2011 – tr. Adriana Bottini e Jacopo M. Colucci);
2014 Censors at Work. How states shaped literature = I censori all’opera. Come gli Stati hanno plasmato la letteratura (Adelphi, 2017 – tr. Adriana Bottini).

Molti di questi volumi hanno vinto premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Noto incidentalmente che su essi hanno lavorato alcuni dei migliori traduttori italiani, come Gianni Ferrara degli Uberti, Sergio Minucci, Franco Salvatorelli, e specialisti, come Renato Pasta: il suo ampio saggio conclusivo nel Massacro dei gatti è molto utile al lettore medio per collocare le posizioni darntoniane nel dibattito storiografico contemporaneo.2

Scorrendo questi titoli, si può evidenziare un tratto caratteristico dell’autore: partire da un episodio di cronaca apparentemente secondario (un’efferata e sguaiata strage di gatti compiuta da stampatori parigini; un vescovo rivoluzionario, nel 1792 deputato dell’Assemblea legislativa francese per il dipartimento Rhône-et-Loire, di cui non sappiamo quasi null’altro; le varie dentiere possedute dal primo presidente degli Stati Uniti) sul quale puntare l’attenzione perché riluttante alle categorie usuali di pensiero, e tramite questa riflessione passare gradualmente a considerazioni assai più pertinenti e illuminanti sulla cultura di quel determinato periodo e su come essa agisca sul modo di stare al mondo tanto di intellettuali rinomati, quanto della gente comune. Come spiega Darnton nel Massacro dei gatti, quei microcasi (adopero questo termine pensando proprio alla microstoria) opachi, incomprensibili, rispondono invece al «bisogno di qualcosa che ci scuota da un falso senso di familiarità col passato, di ricevere dosi di shock culturale» (pp. 14-15); infatti grazie agli antropologi abbiamo «scoperto che i migliori punti d’accesso, quando si tenta di penetrare in una cultura estranea, possono essere là dove essa ci appare più oscura»: proprio lì «possiamo individuare il bandolo con cui dipanare un sistema di significati che ci è sconosciuto» (p. 102); «sollecitando il documento là dove è più oscuro possiamo forse dipanare un sistema di significati a noi estraneo» (p. 15).
I più bravi fra i miei lettori ricorderanno quanto feconda sia risultata una procedura analoga, sostanzialmente negli stessi anni, nella lunga serie di articoli divulgativi del paleontologo evoluzionista (e molto altro ancora…) Stephen Jay Gould.

Fu il giornalismo a tenere a battesimo Darnton; ciò gli deriva dal padre Byron, corrispondente di guerra, morto nell’assolvimento del suo compito durante il secondo conflitto mondiale (anche John, il fratello minore di Robert, arrivò a essere un apprezzato caporedattore della cronaca cittadina per il «New York Times»), e il Nostro non si vergogna di rammentare il tirocinio come reporter di cronaca nera per il «Newark Star Ledger» e il «New York Times», nella prima metà degli anni Sessanta,3 quasi contemporaneamente all’inizio del suo Ph.D. Tale esercizio di scrittura probabilmente gli ha fornito le basi per sviluppare il suo approccio narrativo, assieme al fascino per lo stile di storici tipicamente francesi, come Georges Duby e Jacques Le Goff, in tensione dialettica con la scuola delle Annales fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre, diretta all’epoca da Fernand Braudel.4 Se poi scorriamo alcuni titoli di capitolo, ad esempio nel Bacio di Lamourette, vedremo come Darnton si sia misurato con la storia del libro e della lettura, compresa la bibliografia analitica di stampo propriamente inglese (e per questo una denominazione più corretta sarebbe “storia sociale e culturale della comunicazione a stampa”5, con i retroscena del mondo editoriale (per il quale va osservato che Darnton si muove a proprio agio tanto nella seconda metà del Settecento, quanto nell’America di fine Novecento), con la storia del pensiero e delle mentalità, nonché la storia sociale delle idee, la storia etnografica e come abbia coltivato rapporti di buon vicinato con sociologia della conoscenza, studi di letteratura (anche comparata, nonché influenzata dall’estetica della ricezione e degli studi sull’oralità; e per la letteratura francese, non tanto Diderot, Voltaire e Rousseau, ma soprattutto quella ‘bassa’, cioè anche clandestina, satirica, panflettistica e pornografica, che accompagnò la Francia alla sua rivoluzione dirompente, smontando così per via indiretta le tesi marxiste più o meno ortodosse di Albert Soboul, Georges Rudé e Lucien Goldmann), sino all’antropologia.

Difatti è proprio l’incontro con l’antropologia culturale nella versione interpretativa e simbolica davvero originale di Clifford Geertz (un altro studioso americano molto aperto alle suggestioni ‘continentali’ della fenomenologia, ma soprattutto dell’ermeneutica e della filosofia del linguaggio del ‘secondo’ Ludwig Wittgenstein), con il quale condivise per sei anni un insegnamento a Princeton, a instradarlo verso l’approccio che oggi va sotto il nome di ‘storia culturale’ e di cui Darnton appunto è stato uno dei mentori e corifei.6 A suo dire, infatti, «l’antropologia dà agli storici quello che non ha saputo offrire loro lo studio della mentalité: quella concezione coerente della cultura che Clifford Geertz ha definito come “un modello trasmesso per via storica dei significati incarnati dai simboli”».7

Basta però leggere con attenzione per veder saltar fuori dalle righe i suoi interlocutori ideali, che rispondono ai nomi francesi di François Furet, Daniel Roche, Henri-Jean Martin, Frédéric Barbier, Robert Mandrou, Pierre Goubert, Emmanuel Le Roy Ladurie, Philippe Ariès, Michel Vovelle, Jean Starobinski, Roger Chartier, Pierre Bourdieu; ma anche a quelli ben anglo-americani di Arthur Lovejoy, Carl Becker, Stuart Hughes, Richard Cobb, Peter Gay, John Lough, Natalie Davis, Hayden White, Peter Burke, Lawrence Stone, Keith Thomas e Jack Goody, in ordine sparso. E ancora: Michail Bachtin e Carlo Ginzburg, per tacere di tedeschi e altri, poco noti in Italia, tranne Ernst Cassirer.

Ma non si creda che Darnton sia uno studioso ‘perso nei libri’ e interessato unicamente al dialogo con i suoi pari.

Infatti i primi quattro capitoli del Futuro del libro ruotano attorno al progetto di digitalizzazione avviato da Google alla metà del decennio scorso, sul quale il suo giudizio è netto: l’accordo con le biblioteche pubbliche statunitensi «concentra il potere nelle mani di un unico soggetto» attraverso condizioni «così strettamente vincolate le une alle altre, da rendere impossibile qualunque intervento su singoli punti», col bel risultato finale «di favorire il profitto privato a spese del bene pubblico», dato che «gli interessi privati [sc. di Google] potrebbero avere la meglio sul bene pubblico per il prossimo futuro», cioè si avrebbe la trasformazione di «Internet in uno strumento per la privatizzazione di un sapere che attiene alla sfera pubblica»; «così «Google mi appariva un grande monopolio interessato a conquistare mercati, anziché un naturale alleato delle biblioteche, le quali hanno l’unico scopo di conservare e diffondere il sapere».8

I tre capitoli successivi di quel volume, quelli centrali, sono testimonianze dell’impegno di Darnton in progetti specifici per l’editoria statunitense, in bilico tra accademismo, avvento dell’elettronica e crisi delle biblioteche specializzate (ma questa è una ipersemplificazione della selva di problemi affrontati dall’autore e lì esposti con chiarezza ammirevole e paziente). I quattro conclusivi si dispiegano su altrettanti argomenti che vertono sulla storia del libro ‘tradizionale’ : la carta, la bibliografia (quella enumerativa e analitica o descrittiva o testuale, sensu Greg, McKerrow, Bowers come “scienza materiale della trasmissione dei testi letterari”, poi rinnovata da McKenzie e Tanselle in direzione di una “sociologia dei testi”9), la lettura e la comunicazione, «ovvero la produzione e la fruizione dei libri intese come fasi interconnesse» (p. 17).

Da questa ricostruzione e frequentazione incessante di un panorama vastissimo ed estremamente complesso, emergono almeno due punti a mio avviso di grande valore, che perciò tengo a evidenziare qui.

Il primo è lo schema del “circuito della comunicazione” che troviamo nel saggio del 1982 Che cos’è la storia del libro? 10 . Incidentalmente osservo che presenta notevoli affinità con la ricostruzione offerta per la medesima epoca dallo studioso tedesco Siegfried J. Schmidt (all’apice della sua fase costruttivistica) nella notevole monografia Die Selbstorganisation des Sozialsystems Literatur im 18. Jahrhundert (Suhrkamp, 1989).

Il circuito della comunicazione.

Il secondo punto risale a un saggio pubblicato nel 1999 (e di cui vidi una traduzione un anno dopo sul «Sole 24 Ore», di cui conservo tuttora gelosamente un ritaglio cartaceo per affezione11): all’epoca era una specie di visione profetica, un sogno a occhi aperti, che oggi ha preso la forma di questo Literary Tour de France, incentrato sulla Société typographique de Neuchâtel che compare spesso nei saggi darntoniani (come STN) in virtù della sua peculiarità: quella di essere «l’unico archivio completo di una casa editrice del Settecento giunto fino a noi» (p. 86).
Dunque alla fine del millennio Darnton era alle prese con l’incertezza di (come) costruire un saggio per valorizzare questo ‘tesoro’ raro e prezioso, da un lato, e le chances offerte dall’editoria digitale, dall’altro. Vediamo come ha risolto i suoi dubbi.
«Produciamo più informazioni di quante ne possiamo digitalizzare, e comunque informazione non è la stessa cosa di conoscenza» (p. 84). «Purtroppo, anche i libri hanno i loro limiti. Qualsiasi autore sa bene quante cose vadano eliminate prima che il testo sia pronto per andare in stampa, e qualsiasi studioso sa bene quanto sia in realtà poco ciò che si riesce a studiare negli archivi, prima che il testo possa prendere forma nella scrittura» (pp. 84-85). «Possiamo, sì, riversare nella Rete tutte le tesi che vogliamo. […] Ma di regola questo tipo di pubblicazioni trasmette soltanto informazioni, non è un’opera di studio pienamente elaborata, quantomeno per quel che riguarda le discipline umanistiche e le scienze sociali. […] Per diventare libro, la tesi va riorganizzata, tagliata qui, ampliata là, adattata alle esigenze dei non addetti ai lavori e riscritta da cima a fondo, preferibilmente sotto la guida di un editor esperto. Gli editor parlano del proprio intervento come di un “valore aggiunto”, ma quello che aggiungono è soltanto una parte del valore del libro finito. Peer review, impaginazione, composizione, stampa, marketing, pubblicità: per trasformare una tesi in una monografia è necessaria tutta una serie di risorse e di competenze. Anziché semplificare il processo, la pubblicazione elettronica aggiungerà ulteriori complicazioni, ma il suo valore aggiunto può essere molto alto» (pp. 100-101). «La soluzione è un e-book. Non che il libro elettronico consenta scorciatoie, né che io intenda riversare il contenuto delle mie scatole da scarpe [sc. piene di schede del lavoro svolto negli archivi] nella Rete. Niente affatto: mi propongo piuttosto di elaborare il mio materiale in più maniere diverse, trattando gli argomenti principali nel testo di superficie e includendo negli strati sottostanti mini-monografie e una selezione delle categorie di documenti più ricche» (p. 88). «Spesso i cosiddetti hyperlink, i collegamenti ipertestuali, sono soltanto una variante più elaborata delle note a piè di pagina. Anziché gonfiare il libro, è possibile strutturarlo per strati o livelli successivi disposti a piramide. Lo strato superficiale potrebbe essere un’esposizione sintetica del soggetto, da rendere magari disponibile in paperback. Lo strato successivo potrebbe contenere versioni ampliate di diversi aspetti dell’argomentazione, disposto non sequenzialmente, come in una narrazione, bensì come entità autonome che vanno a inserirsi nello strato superficiale. Il terzo strato sarà composto dalla documentazione, possibilmente di diversi tipi, ciascuno introdotto da un saggio interpretativo. Un quarto strato potrebbe avere un carattere teorico o storiografico, con una scelta di saggi e di analisi preesistenti sull’argomento. Ci potrebbe essere un quinto strato a carattere didattico, con suggerimenti per discussioni in classe, con un modello di corso di studi e pacchetti di materiali didattici. E un sesto strato potrebbe contenere le recensioni, la corrispondenza tra autore e editore e le lettere dei lettori; questo materiale potrebbe diventare un corpus di commenti che si accresce man mano che il libro raggiunge categorie di pubblico diverse. Un libro così fatto solleciterebbe un nuovo tipo di lettura. Alcuni lettori si accontenteranno di dare una scorsa alla narrazione dello strato superiore. Altri preferiranno una lettura in verticale, seguendo alcuni filoni sempre più in profondità, leggendo i saggi e la documentazione di supporto. Altri ancora navigheranno in direzioni impreviste, seguendo associazioni congeniali ai loro interessi o rimettendo insieme il materiale secondo il proprio disegno» (pp. 102-103). «Se si imbattono in qualcosa che vorrebbero approfondire, con un clic possono passare allo strato sottostante, dove troveranno un saggio o un’appendice supplementari. Possono continuare così, per tutto il libro, scendendo sempre più in profondità, esplorando corpora di documenti, apparati bibliografici, storiografici, iconografici, musiche di sottofondo, tutto quello che mi sarà possibile fornire ai lettori per ampliare il più possibile la comprensione del mio soggetto. E alla fine il mio soggetto sarà diventato il loro, perché sceglieranno i loro personali percorsi di esplorazione e di lettura, orizzontali, verticali o diagonali, dovunque li portino i link elettronici» (p. 86).12

Ecco, il libro tradotto da Maurizio è una prima concretizzazione di questo sogno: buon proseguimento!

UPDATE
Il libro è uscito da Carocci, datato settembre 2019; ringrazio Maurizio Ginocchi per avermene regalato una copia, per riconoscenza.

La copertina del testo di Darnton (ed. or. 2018)

PS [in questo caso da intendere anche come ‘piccola soddisfazione’!] Mentre raccoglievo i dati per scrivere questo post, ho notato un banale errore in una pagina dello stupefacente sito di Darnton, e ho pensato di farlo presente. Quasi non credevo ai miei occhi quando, il giorno dopo, ho ricevuto sulla posta di elettronica una breve risposta di ringraziamento, che trascrivo qui sotto:

Dear Alessandro de Lachenal,
Thank you for spotting this unfortunate error.
Best wishes,
Robert
Robert Darnton
Carl H. Pforzheimer University Professor
and University Librarian, Emeritus

Ora, intuisco che la risposta possa essere stata inviata in automatico da uno script ben congegnato o da un collaboratore (particolarmente fidato e addetto alla bisogna) del Nostro, ma almeno vuol dire che il sito è presidiato e accetta indicazioni, non solamente per le esigenze indicate in questa pagina, anche da umili correttori…!

NOTE AL POST

2 R. Pasta, Una provocazione riuscita: la storia antropologica di Robert Darnton, pp. 375-399.

3 Cfr. il sesto saggio nel Bacio di Lamourette, intitolato Giornalismo: tutte le notizie che ci stanno le stampiamo [1975], ricostruzione analitica molto lucida dell’organizzazione del lavoro nei quotidiani statunitensi all’epoca (pre-informatica).

4 Cfr. ad esempio la ricostruzione di Peter Burke, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle «Annales» 1929-1989 (Laterza, 20149 [ediz. orig. inglese 1990]).

5 Che cos’è la storia del libro? [1982], nel suo Il futuro del libro, p. 208 (ma già nel Bacio di Lamourette, p. 65, seppure in una forma lievemente diversa).

6 Per un inquadramento di base cfr. Alessandro Arcangeli, Che cos’è la storia culturale, Carocci 2007; discreta anche la pagina eponima nella versione italiana di Wikipedia. Ricordo che la International Society for Cultural History è stata istituita ufficialmente nel 2008 in Olanda (tutti i dettagli sul sito ufficiale dell’organizzazione).

7 Il bacio di Lamourette, p. 235; la citazione è verso la fine dell’ottavo saggio, Storia del pensiero e storia della cultura [1980], mentre quella di Geertz è tratta da un saggio sulla “religione come sistema culturale”, compreso nel volume pubblicato nel 1973. Alla fine del decimo saggio (che uscì in forme diverse tra il 1973 e il 1974), Darnton torna sul tema parlando di una «visione antropologica dell’uomo come affamato di significati, e della concezione del mondo come un tenace principio ordinatore della vita sociale» (p. 319), sempre rinviando a Interpretazione di culture di Geertz del 1973.

8 Il futuro del libro, pp. 80, 42, 34 e 14. Per questo Darnton scrive, appassionandosi: «Sì, digitalizzare è necessario. Ma, ciò che più conta, è necessario democratizzare. Dobbiamo aprire l’accesso al nostro patrimonio culturale. In che modo? Riscrivendo le regole del gioco, subordinando gli interessi privati al bene pubblico, traendo ispirazione dalla Repubblica delle Lettere degli illuministi per creare una Repubblica digitale del sapere» (ivi, p. 35).

9 Le ragioni per cui tale disciplina ha attecchito ben poco negli studi italiani, dove domina la critica del testo, sono spiegate ottimamente nei primi due saggi, Sguardo da un altro pianeta: bibliografia testuale ed edizione dei testi italiani del XVI secolo [1979] e Introduzione alla bibliografia testuale [1980], di Conor Fahy, Saggi di bibliografia testuale (Antenore, 1988), pp. 1-63.

10 Lo schema compare sia nel Bacio di Lamourette (p. 70) sia nel Futuro del libro (p. 214, da cui lo riprendo perché stampato meglio e anche più preciso nella resa terminologica).

11 Testi perduti e ritrovati su Internet (traduzione di Marco Papi), «Il Sole-24 Ore» di domenica 7 maggio 2000, n° 122, p. 36. Cfr. una versione in inglese sul sito dell’associazione degli storici americani. Le citazioni seguenti sono da Perduti e ritrovati nel cyberspazio e da Libri elettronici e libri tradizionali, rispettivamente quarto e quinto saggio nel Futuro del libro (pp. 83-103).

12 Cfr. dunque Darnton.org, correttamente definito da Ginocchi il lavoro di una vita. Qui, nella sezione “Publications”, si trova anche un elenco aggiornato di tutti i suoi volumi e di buona parte dei suoi articoli, ovviamente in originale, molti dei quali scaricabili come PDF senza vincoli e menzionabili utilizzando la formula apposita reperibile, sempre in quel sito, nella sezione “Copyright and citation information”.