Sono molto contento che il primo volume cartaceo a varcare la soglia di casa mia nel 2018 sia questo di Jürgen Trabant, sebbene quindici anni dopo la sua pubblicazione. Se non fosse chiaro, l’immagine che occhieggia dal ‘buco’ in copertina è quella di una torre di Babele (NOTA 1 ), metafora iniziale e archetipica nell’argomentazione dell’opera.

La copertina di Trabant 2003
Un aspetto assai apprezzabile è che in pratica l’ho pagato (su Amazon) la metà del prezzo riportato sul risvolto di copertina (edizione rilegata!), come a ben guardare si può ricavare anche da un’informazione sul sito dell’editore tedesco, anche se lo sconto dovrebbe applicarsi alla ristampa (?) del 2013.
A noi italiani dovrebbe interessare già solamente perché snocciola nei titoli dei 7 capitoli alcuni dei nostri luoghi più significativi per le humanities: Firenze, Bologna, Napoli… alle quali seguono anche Londra, Parigi, Riga, Tegel, Cambridge (sia quella nel Massachusetts, sia quella britannica), sino alla Foresta nera…
Aggiungo che, per un’altra di quelle ragioni insondabili e inspiegate, nessuno dei libri di Trabant qui menzionati figura nelle biblioteche pubbliche italiane, accessibili a partire dall’Opac SBN, ossia il Catalogo del servizio bibliotecario nazionale: quest’ultimo è attivo dal 1997 e permette di interrogare una vasta rete di «biblioteche statali, di enti locali, universitarie, scolastiche, di accademie ed istituzioni pubbliche e private operanti in diversi settori disciplinari». Del resto al centro della home page del portale ICCU (acronimo di Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche), dal quale dipende il suddetto Opac (On-line Public Access Catalog), fa bella mostra di sé l’affermazione seguente:
L’ICCU gestisce il catalogo online delle biblioteche italiane e il servizio di prestito interbibliotecario e fornitura documenti; cura i censimenti dei manoscritti e delle edizioni italiane del XVI secolo e delle biblioteche su scala nazionale; elabora standard e linee guida per la catalogazione e la digitalizzazione. Opera in stretta collaborazione con le Regioni e le Università al servizio delle biblioteche, dei bibliotecari e dei cittadini.
Avrei qualcosa da eccepire sul fatto che sia effettivamente «al servizio dei cittadini»; meglio passare al tema specifico di questo post.

Jürgen Trabant (dal sito juergen-trabant.de/)
Con Trabant ebbi a che fare indirettamente, quando Laterza affidò a Donatella Di Cesare la traduzione del suo libro su Vico, La scienza nuova dei segni antichi. La sematologia di Vico (fu pubblicato nel 1996, come n° 1092 della collana «Biblioteca di cultura moderna», in altri tempi gloriosa, corredato da una presentazione di Tullio De Mauro). In questa edizione italiana fu aggiunto un capitolo dal suo importante Traditionen Humboldts (Suhrkamp 1990 – stw, 877), l’ottavo: “Fantasia e favella. Osservazioni su Vico e Humboldt” (era alle pp. 140-168 dell’originale tedesco). Il libro vichiano uscì poi anche negli Stati Uniti nel 2004, non so in quale assetto, cioè se conforme nel sommario all’originale, all’edizione italiana, o in un’altra versione ancora – magari in ossequio al principio humboldtiano della virtuosa Verschiedenheit, su cui Trabant è tornato con molta chiarezza in uno dei suoi ultimi testi, Globalesisch, oder was? Ein Plädoyer für Europas Sprachen (Beck 2014). Una dozzina di pagine del libro si possono scaricare gratuitamente, per farsi un’idea di cosa parli, dal sito dell’editore.
Per chi non voglia farlo o non legga il tedesco, riporto l’opinione di fondo espressa da Trabant pochi anni prima:
[…] c’è voluto un bel po’ per far capire alla gente che imparare le lingue è una maniera meravigliosa di esperire cosa sia l’alterità culturale, un’avventura dello spirito, e che non può certo far male alla testa sapere un’altra lingua, o (meglio) anche più d’una. Di questo però ne è convinta solamente la parte dell’umanità che non parla inglese, mentre dal canto loro gli anglofoni rinunziano a questo allenamento mentale [traduzione all’impronta e abbastanza libera del sottoscritto, da Was ist Sprache?, Beck 2008, p. 153].
Sul Globalesisch di Trabant è intervenuto anche Tullio De Mauro nella premessa al suo coevo libretto In Europa son già 103. Troppe lingue per una democrazia? (Laterza 2014). Aggiungo che Mehrsprachiges Europa / Europa plurilingue / L’Europe plurilingue è il titolo di un dibattito al riguardo tra loro e con Barbara Cassin, Sara Fortuna, Manuele Gragnolati, Luigi Reitani e Rossella Saetta-Cottone, che si è svolto la sera del 23 febbraio 2016 all’ICI di Berlino e ancora fruibile in rete.
Ricordo pure che Trabant ha curato un’antologia di Wilhelm von Humboldt: Das große Lesebuch (Fischer 2010), per poi sintetizzare le proprie idee su di lui nel denso volume Weltansichten. Wilhelm von Humboldts Sprachprojekt (Beck 2012). Qualche altro riferimento l’ho inserito nella NOTA 2.

Il libro curato da Trabant nel 1995, con un saggio di Donatella Di Cesare
Quasi certamente per ringraziarmi del supporto nella redazione di quel testo Donatella mi regalò, con breve dedica, un libro solamente curato da Trabant, al quale lei aveva contribuito con un lavoro teorico, interno al dibattito filosofico ed ermeneutico tipicamente germanico. Il volume si intitola Sprache denken. Positionen aktueller Sprachphilosophie (Fischer 1995, nella serie “Philosophie der Gegenwart” curata da Patrizia Nanz, che conobbi a Francoforte e il rapporto con la quale si esaurì dopo poco, data la scarsa ricettività laterziana alle proposte tedesche). Il saggio Di Cesare, in seconda posizione, è Über Sprachphilosophie und die Grenzen der Sprache e sta in buona compagnia, letteralmente ‘in mezzo’ ad autori noti anche da noi: infatti segue Sylvain Auroux, lì autore con Djamel Kouloughli (NOTA 3 ) di Für eine “richtige” Philosophie der Linguistik, ma precede Henri Meschonnic, che scrive Humboldt denken heute.
Con Donatella persi poi del tutto i contatti, salvo poi ritrovarla mediatamente nelle righe, ferme e autorevoli, che aprono l’edizione italiana di Eugenio Coseriu, Storia della filosofia del linguaggio (Carocci 2010), da lei stessa tradotto e soprattutto curato, essendone stata allieva a Tubinga una ventina d’anni prima. E non sarà un caso, allora, che il secondo libro entrato a casa quest’anno nuovo, acquistato on-line presso la Fondazione Campostrini di Verona, sia Eugenio Coseriu, Il linguaggio e l’uomo attuale. Saggi di filosofia del linguaggio (2007, a cura di Cristian Bota e Massimo Schiavi, con la collaborazione di Giuseppe Di Salvatore e Lidia Gasperoni, prefazione di Tullio De Mauro — il quale nella seconda delle poche pagine concessegli, scriveva: «Ora che anche Giancarlo Bolognesi se ne è andato, credo di essere il più vecchio testimone dei primi anni e dei ritorni di Coseriu in Italia, nei tardi anni Cinquanta» [p. 10]).
La Storia della filosofia del linguaggio è un’opera estremamente interessante di Coseriu (ma anche più in generale) e permette di intrecciare variamente gli studiosi qui menzionati. L’edizione originale tedesca, da cui proviene anche quella Carocci, aveva una premessa di Trabant, qui conservata (pp. 25-32) e istruttiva, ma anche lui è criticato dalla curatrice (v. p. 14). A quest’ultima bisogna comunque riconoscere il merito di avere messo in luce l’angolatura migliore per apprezzare quel testo, «che, a ben guardare, non è davvero una “storia”, ma è piuttosto una “filosofia del linguaggio”. […] E come tale va letta. […] è un grande dialogo con i filosofi […], per cercare una risposta alle sue {sc., di Coseriu} domande sul linguaggio. Ma anche per riconoscere ogni volta il suo debito. E che cosa si presta di più al fraintendimento in tempi come questi di appropriazione egocentrica, di boria e presunzione scientifica? L’habitus di Coseriu era esattamente l’opposto» (p. 15).
E ancora: «la filosofia del linguaggio è tutta la filosofia dal punto di vista del linguaggio […]. Il grande merito di Coseriu è stato quello di aver giustificato la domanda filosofica sul linguaggio» come distinta da quella storica e da quella scientifica (p. 17 – corsivi nell’originale). Ne consegue che, allo stesso modo, bisogna distinguere la filosofia del linguaggio dalla linguistica generale e dalla teoria del linguaggio, mentre ad esempio in Italia «un disprezzo per la dimensione filosofica, detestata o ignorata, può condurre e ha condotto [..] ad una confusione tra filosofia del linguaggio e linguistica». «La domanda filosofica mira ad andare sempre oltre, mette in dubbio ciò che linguistica generale e teoria del linguaggio accettano tacitamente, comincia là dove queste finiscono. Ma a ben guardare le precede, dato che solleva a problema filosofico il “fondamento” del linguaggio che linguistica generale e teoria del linguaggio si limitano ad assumere. Queste ultime si basano dunque sulla filosofia del linguaggio, la presuppongono. La domanda filosofica sul linguaggio è così la domanda sul “senso dell’essere del linguaggio”» (p. 18).
Ho l’impressione che questa vena polemica sia stata generata probabilmente dall’intreccio fra dolorosi vissuti personali e duri sfondi storici sovraindividuali, più o meno aggiornati.
Ma al di là di tali considerazioni, queste stesse righe mi hanno fatto intuire che l’obiettivo da perseguire in una riflessione ‘alta’ sulla traduzione sia far capire (anche se non mi è ancora ben chiaro come) l’importanza, anzi di più: l’imprescindibilità, direi quasi la consustanzialità di quella attività, sfuggente, eppure analoga a «quell’estraniamento talmente quotidiano, da apparirci quasi ovvio, senza il quale non potremmo esistere» che è il linguaggio (cito sempre dall’introduzione di Di Cesare, pp. 16-17).
L’attività traduttiva, riprendendone la foggia, ossia quasi (ma non del tutto) modellata dalla lingua, duplica quella (e la nostra competenza linguistica, in senso lato), appoggiandovisi e sopravanzandola, e perciò appare ancora più difficile separarnela, scinderla dagli usi che abbiamo e facciamo della lingua.
Dovrò tornarci, forse Trabant e Coseriu sapranno fornirmi spunti illuminanti.
Concludo segnalando il sito dedicato a Eugenio Coseriu, dal quale si possono ricavare informazioni su di lui e scaricare praticamente quasi tutti i suoi saggi: http://www.romling.uni-tuebingen.de/coseriu/

Eugenio Coseriu (dal sito http://www.coseriu.de/)
N O T E
NOTA 1 – Nella fattispecie si tratta di un quadro dipinto nel 1602 da Roelant Savery e attualmente al Museo nazionale tedesco di Norimberga. Clicca qui per tornare al testo
NOTA 2 – L’argomento era affrontato in un’interessante ottica comparativa da un altro linguista (francese) in un bel volume, uscito nel 1995 come numero 19 della collana che accompagnava la rivista diretta da Raffaele Simone dal 1986 al 2003, «Italiano e oltre» {notizia dell’ultim’ora: dovrebbe essere disponibile tutta on-line a breve}: Claude Hagège, Storie e destini delle lingue d’Europa. Mi piace immaginare che, come De Mauro aveva affidato la prima traduzione di “sette studi” di Coseriu al suo giovane neolaureato Raffaele Simone (Teora del linguaggio e linguistica generale, Laterza 1971), così la storia si sia ripetuta nella generazione successiva: difatti fu un allievo di Simone, Edoardo Lombardi Vallauri, oggi ordinario di Linguistica generale a Roma 3, a tradurre la seconda edizione del 1994 del testo di Hagège (l’originale è del 1992 – con un titolo francese più evocativo del nostro: Le souffle de la langue). L’edizione italiana era corredata da una Presentazione (pp. IX-XV) di Alberto A. Sobrero, che poco prima aveva raccordato in maniera eccellente da curatore 17 fra i migliori linguisti (quasi tutti italiani) nei due importanti volumi della Introduzione all’italiano contemporaneo, intitolati rispettivamente Le strutture e La variazione e gli usi (Laterza 1993). Clicca qui per tornare al testo
NOTA 3 – Auroux scrisse con Kouloughli e Jacques Deschamps La filosofia del linguaggio (trad. it. di Ilaria Tani, Editori Riuniti, Roma 1998). Clicca qui per tornare al testo
Post aggiornato tra domenica 21 e martedì 23 gennaio 2018.